“Non vi ho mentito su tutto, ma non vi ho detto la verità“
Uno spettacolo autobiografico, dove vengono raccontate le vicende di Sebastiano, il personaggio principale, attorno al quale gravitano altri personaggi, reali e immaginari. Uno spaccato di una piccola società familiare e di personaggi al limite del grottesco attraverso una poetica capace di narrare le sfaccettature individuali dei personaggi che si muovono nella storia.
Sebastiano nasce a Villacidro, il «paese delle streghe». Spesso rimane chiuso nella sua cameretta, un posto dove si scatenano le sue visioni e favole interiori. Sebastiano cresce in fretta e conosce subito la morte. Prega la Madonna Nera e lei arriva sempre.
I ricordi della sua giovinezza cominciano a un certo punto a travolgerlo. C’è un diavolo che lo insegue nelle notti buie e insonni, e c’è la sua Madonna Nera che lo guida in un mondo onirico liberandolo al suo Daimon. I genitori sono burattini bloccati da un ideale di figlio e ridotti ad adorare le fotografie sbiadite dei loro idoli sacri e pop: il padre fedele al suo uliveto e a John Wayne, la madre alla chiesa e a Renato Zero. Ci sono gli zii Francolino, re delle serre, e lo zio Giannetto, brujo, legato alla magia, che hanno preso parte alla sua crescita. Sebastiano vive in un mondo su cui si affaccia il divino fino al giorno in cui la «realtà» lo amputa delle sue visioni, riportandolo a stare coi «piedi per terra» e sacrificandogli l’anima. Da quel momento in poi inizia un viaggio verso la redenzione che lo porterà a spiccare il volo.
NITROPOLAROID
Coinvolge cielo e terra e trabocca dal cuore
regia Riccardo Lai e Lorenzo De Iacovo
drammaturgia Riccardo Lai
collaborazione drammaturgica Lorenzo De Iacovo e Giovanni Ibba
con Riccardo Lai, Agnese Mercati, Carola Rubino, Elia Tapognani
scene Giacomo Andrico
luci Stefano Mazzanti
In quest’epoca sempre più invasa dalla frenesia e dalla perdita totale della propria identità e delle proprie radici vogliamo raccontare una storia universale, in altre parole, come spiega Tolstoj, raccontare il proprio villaggio per essere universali. In una società come quella contemporanea, devastata dall’epidemia, dove i giovani sono costretti alla Dad, tutti inseguiamo un capitalismo sempre più sfrenato. Una continua voglia di apparire sui social per pubblicizzare vite di successo e pizze con le fragole. Siamo occupati dalla società della performance, intrisa di incertezze, a cui siamo attaccati con un nuovo cordone ombelicale, al punto di ridicolizzare la nostra anima, dimenticare chi siamo e da dove veniamo.
Abbiamo annullato «il cosa saremo» perché l’aridità che ci portiamo dentro ha generato mostri capaci di eliminare la creatività, ha atrofizzato la mente, spazzato via i sogni. Ogni forma di collettività, di magia, di trasmissione orale, di credenza popolare, è in via di estinzione. L’Italia è il paese in Europa ultimo nelle classifiche come nascite e questo significa che a breve spariranno molte culture, molte tradizioni. Il popolo non avrà più il desiderio di raccontare la sua storia. Tuttavia non critichiamo questa onda nera che sta travolgendo il mondo e non abbiamo nemmeno la pretesa di arrestarne la corsa. Questa moderna società liquida, fondata sul narcisismo, dove regna la voglia costante di apparire, la bulimia consumistica dell’usa e getta che ha inquinato ogni ambiente, compreso quello artistico, evidenzia in maniera sempre più palese un allontanamento totale dal rito. La sua eco rimane ormai presente in poche realtà in cui il silenzio, il raccoglimento, il senso del sacro esistono senza far sentire la loro presenza e senza bisogno di comunicare. Questa forma di comunità silenziosa si scontra contro le urla, i musi, l’ego, il baccano, i festeggiamenti del parlamento per la caduta del DDL Zan, contro gli alberi abbattuti come soldati in battaglia per le cementificazioni, contro l’individuo che pesta i piedi come un bambino e che si ritrova a girare a vuoto, privo di un mondo concreto e di interazioni e relazioni vere. Il rito resta l’unica pratica capace di liberare la società da questo narcisismo collettivo, creando connessioni vere e ritornando a meravigliare il mondo.
Ero un ragazzo, avevo 14 anni, e lavoravo nelle serre di mio zio Francolino. Lui mi raccontava barzellette come quella dell’asino e del leone. Nel silenzio e con il forcone in mano, sognavo di fare l’attore. L’altro zio, il Brujo, mi faceva stare tra galline, api, cinghiali e uccelli, magie e miele. Quello che mi faceva vivere era romantico più di ogni altra cosa. Ci si divertiva un sacco, ma quando si cresce tutte queste cose svaniscono come un sogno bello che sfuma al risveglio la mattina. Avevo preso parte fin da piccolo alla confraternita di Santa Barbara, pregavo la Madonna nei miei giorni di solitudine, la quale arrivava sempre ricordandomi mio nonno, ripetendo con me i versi della Spendula, la cascata di Villacidro (mio paese natio), e i rumori d’acqua che scorre, celebrando su di me un battesimo con il riso e i soldi, facendomi all’amore.
Assieme alla Madonna nera, c’erano le processioni in onore dei santi, i funerali, ma anche le visite nelle carceri e nelle comunità dove erano stati i miei zii, sin da quando ero piccolo. La Sardegna, le famiglie dei miei genitori: tutto questo ha segnato per sempre il mio destino; ma, poi, l’arrivo del teatro come mezzo per rivivere l’isola con le sue storie e risolverle, per giocare con loro.
Nitropolaroid viaggia tra il passato e il futuro attraverso un linguaggio antico, analogico, ma estremamente rivoluzionario.
Nitropolaroid parla di un mondo spirituale e di un mondo terreno, della fede e della sua perdita, parla di famiglia, di incomunicabilità, di disperazione e purificazione, di morte e redenzione.
Nitropolaroid si connette con quella parte di me che crede ancora alla magia, parla di un mondo che non esiste più, un meta-luogo rurale, onirico e fuori dal tempo, meraviglioso e perduto, allucinato e inquietante.
Nitropolaroid è un sogno lucido che ogni sera può uscire dalla porta della cameretta, perché ogni sera si rinnova, nasce e viene consumato dal nulla.
Riccardo Lai
- 2 ottobre 2022
Festival Primavera dei Teatri / Castrovillari
“Riccardo Lai e Lorenzo De Iacovo per conto della Compagnia Crack24 hanno messo in scena al Teatro Vittoria Nitropolaroid uno spettacolo autobiografico dal sapore antropologico che racconta le vicende di Sebastiano vestito dallo stesso Lai, che partito da Villacidro, paese delle streghe in Sardegna, si reca nel Continente per fare l’attore. Qui tra tante difficoltà riesce ad avere qualche successo anche se la Sardegna gli rimane cucita sulla sua pelle, affiorando padre e madre che si esprimono in sardo (Elia Tapognani e Agnese Mercati), la madonna nera di Sonia Burgarello, pure nei panni dello zio Brujo con parrucca bianca. Rimane impresso quel quadretto delle tre donne avvolte da scialli neri quasi sbucate fuori da La casa di Bernarda Alba di Garcia Lorca e la scena finale di Sebastiano in croce e una donna che lo lava avvolgendogli viso e testa con delle bende bianche” / Gigi Giacobbe (Sipario)
“Un lavoro denso di vita e che con il teatro si fonde e diventa tutt’uno, operazione coraggiosa e pericolosa, ma riuscita. In scena Lai interpreta il giovane sardo Sebastiano e anche se stesso, sulla scia registica di Cristina Pezzoli, che lo ha diretto fino alla sua scomparsa, intuendone il talento. Con lui Agnese Mercati, Elia Tapognani e Sonia Burgarello, interpreti validi e versatili, con ruoli diversi, che ben dosano interpretazione, movimento scenico ed espressività con accenti chiari su importanti verità antropologiche ed esistenziali” / Lorena Martufi (Persinsala)
“Nei testi originali prevaleva il tema, ricorrente ancorché declinato con esiti teatrali e drammaturgici di diversa efficacia, dell’incapacità della generazione fra i venti e i quarant’anni ad affrontare la vita. A questa categoria appartiene Dammi un attimo, di Rossosimona – Aiello – Greco; ma anche Nitropolaroid, di Crack24” / Claudio Facchinelli (Rumori Fuori Scena)
“Nitropolaroid è una sintesi, un incrocio, un cortocircuito. Nitro come nitroglicerina. Come una Polaroid fissata nel tempo, d’avanguardia, pop. C’è sogno, visione, evasione, decadenza, e come tutte le cose vere, spavento. Segue una scena che ci presenta il padre e la madre di Sebastiano, sorprendenti Elia Tapognani e Agnese Mercati a esasperarne i difetti, come caricature che danzano e zoppicano tra le mura domestiche, eppure si appartengono nei codici dell’anima e linguaggi perché sono atavici, perfetti e complementari, vivi. Vengono dal mondo contadino, amato e raccontato, interiorizzato e rielaborato con lucidità, cura, con sapienza, come un teschio che va cercando la verità alla luce di una lampada ad olio nella notte. Lorenzo de Iacovo, che firma la regia insieme allo stesso Lai, compie un lavoro di tipo esistenziale, antropologico e teatrale insieme che mette in crisi perché c’è potenza per chi sa guardare. Centrale è il bosco da attraversare di notte, perché Sebastiano, accompagnato dal padre, deve farsi togliere un porro dallo zio Brujo (Sonia Burgarello) / Lorena Martufi (Blog)
“Parte benissimo questo scritto, in parte autobiografico, dell’autore Riccardo Lai. Un racconto fortemente tratteggiato dalla calata sarda, un autodramma per dirla con le parole che Strehler usò per definire il Teatro Povero di Monticchiello. (…) Lai, protagonista in scena (somiglia a Nicholas Cage), dà subito una bella carica alla platea, tra il sardo e un italiano sardizzato raccontando, da dentro, la sarditudine, la distanza, geografica e culturale, dell’isola, il mirabolante Continente da temere e da affrontare” / Tommaso Chimenti (Recensito)

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